Corte Costituzionale, licenziamento per motivi economici: smontata la legge Fornero e obbligo di reintegra

“La corte Cost. dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b), della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), nella parte in cui prevede che il giudice, quando accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, «può altresì applicare» – invece che «applica altresì» – la disciplina di cui al medesimo art. 18, quarto comma.”

Ancora una volta la Corte Costituzionale ha proceduto alla rilevazione dell’illegittimità costituzionale di una parte dell’art. 18 statuto dei lavoratori per effetto delle modifiche applicate dalla riforma Fornero.

In particolare, tenuto conto della possibilità di procedere a licenziamenti oggettivi da parte del datore di lavoro, l’allontanamento non può più avvenire con il semplice riferimento ai motivi economici, poiché quest’ultimi, da soli, non sono può sufficienti a giustificare il licenziamento.

Sul punto, la Corte ha dichiarato ”incostituzionale l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, nel testo modificato dalla ‘riforma Fornero’, con riferimento all’articolo 3 della Costituzione” poiché in caso di ‘licenziamenti economici’ non è sufficiente e legittima la scelta del solo ristoro in denaro senza applicazione della reintegra da parte del giudice.

Con il correttivo disposto dalla Corte, sarà necessario per il datore, su ordine dell’autorità giudiziaria, procedere all’obbligatoria riassunzione se il fatto è manifestatamente infondato.

”In un sistema che, per scelta consapevole del legislatore, attribuisce rilievo al presupposto comune dell’insussistenza del fatto, e a questo presupposto collega l’applicazione della tutela reintegratoria del lavoratore” – si apprendere in sentenza – è ”disarmonico e lesivo del principio di eguaglianza” il ”carattere facoltativo del rimedio della reintegrazione per i soli licenziamenti economici, a fronte dell’inconsistenza della giustificazione addotta e della presenza di un vizio ben più grave rispetto alla pura e semplice insussistenza del fatto”.

Il principio violato posto a base dell’illegittimità costituzionale è quello di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, poiché il giudice che durante l’istruttoria incorre nell’accertamento della totale insussistenza del motivo oggettivo di natura economica, dovrà necessariamente applicare la tutela reintegratoria tenuto conto che l’art. 3 Cost. ”risulta violato se la reintegrazione, in caso di licenziamenti economici, è prevista come facoltativa, mentre è obbligatoria nei licenziamenti per giusta causa e giustificato motivo soggettivo, quando il fatto che li ha determinati è manifestamente insussistente”.

In altri termini, secondo la Corte Costituzionale ”non si giustifica un diverso trattamento riservato ai licenziamenti economici” rispetto ai licenziamenti per giustificato motivo soggettivo per i quali a fronte della manifesta indeterminatezza del fatto imputato vale il principio di reintegra del lavoratore.

D’altra parte, è noto a tutti come i licenziamenti economici siano spesso utilizzati come strumento giustificativo per l’allontanamento del lavoratore che non si ha più intenzioni di avere alle proprie dipendenze, atteso che nei confronti di tali forme di licenziamento non vi era necessariamente l’obbligo di reintegra dopo la riforma Fornero.

Per i licenziamenti economici, infatti, ”il legislatore rende facoltativa la reintegrazione, senza offrire all’interprete un chiaro criterio direttivo”, osserva la Corte. La scelta tra due forme di tutela ”profondamente diverse, quella reintegratoria, pur nella forma attenuata, e quella meramente indennitaria, è rimessa a una valutazione del giudice, disancorata da precisi punti di riferimento”.

La Consulta, peraltro, affronta anche il tema della libere scelte da parte dell’imprenditore, principio in funzione del quale la verifica di legittimità da parte del giudice ordinario non può ‘‘sconfinare in un sindacato di congruità e di opportunità’’ sicché non può interferire sulle scelte imprenditoriali. ‘‘Il vaglio della genuinità della decisione imprenditoriale garantisce che il licenziamento rappresenti pur sempre una extrema ratio e non il frutto di un insindacabile arbitrio’’.

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