La rappresentanza della s.p.a. e la posizione del terzo

“Solo nel caso in cui il potere rappresentativo abbia origine da un atto della persona giuridica non soggetto a pubblicità legale, incombe a chi agisce l’onere di riscontrare l’esistenza di tale potere a condizione, però, che la contestazione della relativa qualità ad opera della controparte sia tempestiva, non essendo il giudice tenuto a svolgere di sua iniziativa accertamenti in ordine all’effettiva esistenza della qualità spesa dal rappresentante, dovendo egli solo verificare se il soggetto che ha dichiarato di agire in nome e per conto della persona giuridica abbia anche asserito di farlo in una veste astrattamente idonea ad abilitarlo alla rappresentanza processuale della persona giuridica stessa”  (Cass. n. 20164/2015).

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E’ noto che gli amministratori di società svolgono numerose funzioni dirette a mettere in esecuzione l’oggetto sociale e le relative delibere da cui è possibile affermare la complessità di tale ruolo.

Ciò è da considerarsi non solo in funzione della quantità di funzioni previste dalla legge e designate dall’atto costitutivo e statuto, ma soprattutto dalle corrispettive responsabilità civili e penali, oltre a quelle di natura erariale a seconda del tipo di società.

Tuttavia, dal punto di vista delle responsabilità anche il ruolo dei sindaci di società, considerati quali controllori degli amministratori e con loro, difatti, responsabili solidali, è da considerarsi di ampia rilevanza.

Tra i compiti operativi dati agli amministratori, certamente rientra anche la rappresentanza della società e, pertanto, anche la possibilità di conferire a terzi l’esecuzione di specifici affari o categorie di atti mediante apposita procura.

Il caso tipico è quello della rappresentanza processuale.

In termini generali, deve essere dato atto che la società, già al momento della sua costituzione ed al fine di regolare i rapporti con i terzi ed in giudizio, deve indicare quali tra gli amministratori è dotato del potere di rappresentanza, cosicché, sin da subito è possibile verificare per i terzi se quel soggetto è investito del potere rappresentativo.

In ogni caso, a mente dell’art. 2383 comma 4 c.c., gli amministratori, anche nelle ipotesi di sostituzione, una volta nominati dall’assemblea, entro trenta giorni dalla loro nomina devono chiedere l’iscrizione nel registro delle imprese della delibera di nomina, ove, peraltro, deve essere indicato se costoro possono agire disgiuntamente o congiuntamente, ovvero se sussistono limiti al potere di rappresentanza. Tali previsioni sono dettate a favore dei terzi.

Considerato lo spazio di manovra ampio cui  necessitano gli amministratori per mettere in esecuzione gli obbiettivi sociali, atteso che il proprio compito è di natura esecutiva/operativa, l’art. 2384 c.c. dispone che “Il potere di rappresentanza attribuito agli amministratori dallo statuto o dalla deliberazione di nomina è generale“. 

Ne deriva che l’amministratore ha la possibilità, disgiuntamente o congiuntamente con il consenso di tutti, di porre in essere atti in nome della società in via generale, purché certamente rientri nell’oggetto sociale giacché, contrariamente, potrebbero rilevarsi profili di responsabilità.

Pertanto, è possibile per il singolo amministratore che può operare disgiuntamente, conferire per l’esecuzione di un singolo affare o per categorie di atti mandato ad un terzo soggetto, quale potrebbe essere un tecnico specializzato ovvero un legale per la rappresentanza in giudizio.

Ed allora è possibile che ogni qual volta ci si trovi in affari con una s.p.a. sia necessaria verificare il contenuto del potere di rappresentanza?

In realtà, il codice civile sempre all’art. 2384 c.c. prevede un regime favorevole al terzo che entra in contatto con la società, giacché “le limitazioni ai poteri degli amministratori che risultano dallo statuto o da una decisione degli organi competenti non sono opponibili ai terzi, anche se pubblicate, salvo che si provi che questi abbiano intenzionalmente agito a danno della società.”

Il concetto è molto semplice.

Si è detto che l’amministratore deve richiedere l’iscrizione presso il registro delle imprese della delibera di nomina e che le limitazioni al suo potere di rappresentanza sono conoscibili dai terzi.

Tuttavia, anche qualora pubblicati tali limiti non sono opponibili, sicché, il terzo può far fede e affidamento a quanto negoziato anche con colui che non aveva rappresentanza per tale affare.

Epperò, ancorché tale regime possa definirsi a favore del terzo, qualora la società riesca a provare che lo stesso abbia agito intenzionalmente a danno della stessa, giacché, per esempio conosceva comunque tali limiti, quest’ultimi sono certamente opponibili con conseguente invalidità degli atti.

In ogni caso, è da rilevare che l’interesse all’invalidità dell’atto può sussistere non solo in capo alla società, ma anche dal terzo.

Sul punto la suprema corte, con sentenza n. 20164/2015, ha stabilito che la persona fisica – amministratore che ha conferito procura/mandato non ha l’onere di dimostrare il potere di rappresentanza, se il conferimento del potere è derivato da un atto soggetto a pubblicità legale quale lo statuto o atto costitutivo o, ancora, la delibera di successiva nomina.

Ciò perché i terzi possono sempre controllare la qualità del soggetto con il quale entrano in contatto.

“Solo nel caso in cui il potere rappresentativo abbia origine da un atto della persona giuridica non soggetto a pubblicità legale, incombe a chi agisce (n.d.r. ovvero al mandatario della società) l’onere di riscontrare l’esistenza di tale potere a condizione, però, che la contestazione della relativa qualità ad opera della controparte sia tempestiva (…)”. 

Praticamente, ogni qual volta il terzo non può egli stesso verificare l’esistenza del potere di rappresentanza perché detto potere deriva da un atto non soggetto a pubblicità, allora, previa immediata richiesta, dovrà essere l’asserito rappresentante amministratore a provarne la legittimità del potere.

 

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