“Il rapporto intercorrente tra la società di capitali ed il suo amministratore è di immedesimazione organica e ad esso non si applicano né l’art. 36 Cost. né l’art. 409, comma 1, n. 3) c.p.c.. Ne consegue che è legittima la previsione statutaria di gratuità delle relative funzioni”(Cass. n. 285/2019)

Recentissime pronunce della Suprema Corte affermano il principio ormai consolidato e già oggetto di numerose riflessioni da parte della giurisprudenza di merito, secondo il quale non vi sono dubbi sulla possibilità dell’amministratore di società di esercitare la sua attività anche gratuitamente, ovvero senza percepire alcun reddito e/o altra utilità.
E’ chiaro che quanto affermato sembrerebbe contrastare con i principi cardine del nostro ordinamento giuridico a cominciare dall’art. 36 della elegante e, ancora oggi, moderna Costituzione italiana nella parte in cui dispone che “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.
E su tale norma che eleva il diritto alla retribuzione quale diritto soggettivo e indisponibile, a favore della tesi della gratuità della prestazione dell’amministratore potrebbe sostenersi che il costituente ha voluto riferire le norme del lavoro al c.d. lavoratore subordinato, quale parte debole del rapporto, con la logica conseguenza di non applicare l’art. 36 al lavoratore autonomo nonché al prestatore di opera intellettuale.
Ciò che è sicuro, e che ogni società che si rispetti presenta uno o più amministratori i quali sono destinati all’esercizio della attività amministrativa della società, ove per esse deve intendersi l’esercizio delle più disparate e rilevanti mansioni oggetto del controllo dei soci che possono esercitare la azione di responsabilità.
L’attività svolta secondo S.C. rilevato che nella formazione della società e dalla legge ad essa applicabile nulla vieta di prevedere clausole di esclusione del compenso dell’amministratore, quest’ultimo potrà agire anche gratuitamente senza che ciò comporti minori oneri a suo carico e, pertanto, il medesimo grado di responsabilità.
Accade perché il compenso del professionista-amministratore costituisce, da un lato, un diritto dello stesso assolutamente meritevole di tutela, ma dall’altro, l’amministratore può rinunciarvi alla retribuzione in virtù della sua immedesimazione organica all’interno della struttura sociale.
Ne consegue, che dal punto di vista della natura del diritto al compenso, quest’ultimo va interpretato quale diritto disponibile che, pertanto, esula dalla forza protettiva dell’art. 36 Cost.:“Il rapporto tra l’amministratore di una società di capitali e la società medesima va ricondotto nell’ambito di un rapporto professionale autonomo e, quindi, ad esso non si applica l’art. 36, comma 1, Cost., che riguarda il diritto alla retribuzione in senso tecnico, poiché il diverso diritto al compenso professionale dell’amministratore, avendo natura disponibile, può essere oggetto di una dichiarazione unilaterale di disposizione da parte del suo titolare” (Corte di Appello di Roma del 5.12.2018)
Pertanto con dichiarazione unilaterale, ovvero con una remissione del debito di cui all’art. 1236 c.c., si consente al creditore-amministratore di liberare il debitore-società dalla prestazione salvo che quest’ultimo intenda comunque aderirvi, considerato, peraltro, che la dichiarazione può anche avvenire in maniera tacita per comportamento concludente.
Più di frequente è la ipotesi del compenso pattuito tra la società l’amministratore, sicché si pone il problema della sua quantificazione, tenuto anche conto che la normativa di cui all’art. 36 Cost. anche in tal senso non dovrebbe trovare applicazione.
E allora si potrebbe porre l’ipotesi, nell’ambito delle società per azioni, della mancata determinazione del compenso in fase assembleare o quando la stessa determinazione manca nello statuto sociale.
Sarebbe opportuno in tali ipotesi che ogni amministratore si rifiuti di compiere le attività proprie del suo mandato e ciò perché, qualora l’Amministratore riceva un compenso non deliberato o previsto, potrà anche essere oggetto di sanzioni penali.
Tuttavia, la sentenza della Corte di Cassazione n. 21933/2008, ancorché ciò non deve indurre ad esercitare in presenza di condizioni di esercizio monche di profili di legittimità, ha chiarito che in sede di approvazione di bilancio è possibile confermare i compensi dati agli amministratori senza che siano stati deliberati solo se si dimostri che l’assemblea è stata convocata soltanto per l’esame e l’approvazione del bilancio, essendo totalitaria, e abbia anche espressamente discusso e approvato una specifica proposta di determinazione dei compensi degli amministratori”.
In conclusione, posta la legittimità dell’operato gratuito degli amministratori, in caso contrario la determinazione del compenso deve avvenire o già in sede statutaria ovvero con apposita delibera della società, non solo nell’ambito delle s.p.a. in quanto espressamente previsto, ma anche, a parere dello scrivente, nelle altre dimensioni sociali al fine di eliminare ogni possibile distorsione e controversia in ordine all’obbligo e quantificazione degli importi dovuti da parte dell’ente sociale.