La società di “comodo”: brevi considerazioni

“Attraverso la disciplina delle c.d.società di comodo, si intende disincentivare il fenomeno dell’uso improprio dello strumento societario, utilizzato come involucro per raggiungere scopi, anche di risparmio fiscale, diversi, quale l’amministrazione dei patrimoni personali dei soci, da quelli previsti dal legislatore per tale istituto (cosiddette società senza impresa, o di mero godimento, dunque “di comodo“). Il meccanismo deterrente consiste nel fissare un livello minimo di ricavi e proventi correlato al valore di determinati beni patrimoniali, il cui mancato raggiungimento costituisce elemento sintomatico delta natura non operativa della società, con conseguente presunzione di un reddito minimo, stabilito in base coefficienti medi di redditività di detti elementi patrimoniali di bilancio. Spetta, poi, al contribuente la prova contraria, dimostrando l’esistenza di oggettive situazioni di carattere straordinario, specifiche ed indipendenti dalla sua volontà, che hanno impedito il raggiungimento della soglia di operatività e del reddito minimo presunto” (Cass. 26728/2017).

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Probabilmente ne hai sentito parlare spesso in televisione oppure attraverso il quotidiano di riferimento, ma esattamente in pochi, eccetto gli esperti del settore, conoscono l’esistenza e lo scopo reale delle famose società di “comodo” il cui fenomeno è in crescita, specie in un paese ove la pressione fiscale è alta.

In particolare tale fenomeno è interessante soprattutto quando analizzato sotto il profilo dell’art. 2248 C.C. e della normativa antielusiva tributaria che si applica nei confronti di codesti fenomeni sociali.

E’ bene chiarire che le società di comodo sono per lo più “costituite” da soggetti che intendono celare nei confronti di creditori ed anche e soprattutto nei confronti del Fisco, la proprietà di beni che conferiti alla società, producono un incremento del suo patrimonio.

D’altra parte, è lecito pensare che i costituenti di una società non operativa, possano voler eludere il Fisco, non solo in ordine all’imposta Ires e simili, ma anche in riferimento all’imposta di successione: difatti, alla morte del socio proprietario, in queste società sbucano fuori scritture private fittizie di vendita della quota sociale da utilizzare dopo il momento del decesso e che non danno luogo a successione ereditaria.

Autorevole dottrina (GALGANO) rileva che alcune società di comodo sono costituite esclusivamente dalle proprietà immobiliari dei soci e finalizzate alla redistribuzione delle rendite che ne derivano, tenuto conto che essendo tali beni della società non possono essere oggetto di pretesta da parte dei creditori del singolo socio.

Il fenomeno della società di comodo rileva anche in considerazione dell’art. 2248 C.C. il quale dispone che la comunione costituita al solo scopo del godimento di una o più cose è regolata dalle norme del Codice Civile di cui al capo relativo proprio alla comunione.

Alla luce di ciò, appare evidente che un contratto finalizzato alla costituzione di una società di comodo è contrastante con la normativa sulla comunione, atteso che conferire beni al solo fine di godere degli stessi senza esercizio di impresa, dà luogo ad un rapporto che andrebbe regolato secondo il capo del codice civile dedicato alla comunione.

Altro fondamentale motivo per il quale determinati soggetti, danno luogo a società senza impresa, non operativa e di comodo, può derivare dalla volontà di eludere il Fisco.

Difatti, il legislatore, preso atto della possibilità di elusione, ha dato vita ad una normativa tesa a sopprimerne il fenomeno con la previsione di norme, quali l’art. 37 bis. D.P.R. n. 600 del 1973 che si attivano allorquando, in base a presunzioni semplici e delineate dalla l. n. 274/1994, una società può essere considerata non operativa o di comodo, tenuto conto però, della possibilità del contribuente di provare l’effettività della non operatività della società e chiedere la disattivazione delle normativa antielusiva fiscale: Deve ritenersi sussistere una società di comodo nel caso in cui si sia fatto ricorso allo strumento societario come schermo per celare in realtà l’effettivo proprietario dei beni attraverso la costituzione di società intese a gestire il patrimonio nell’interesse dei soci anziché per esercitare un’effettiva attività commerciale. Ne consegue che uno degli elementi idonei a rivelare la presenza di una società di comodo è rappresentato dal mancato raggiungimento del reddito minimo ai sensi dell’art. 30 della l. 724/1994 il quale, pur determinando una presunzione semplice, non preclude tuttavia la dimostrazione del contrario con elementi oggettivi” (Commiss. Trib. Reg. Firenze 11.01.2016).

Il legislatore ha voluto tutelare da un lato l’imposizione fiscale a favore dello Stato, prevedendo che innanzi a certi mancati risultati economici e reddituali, l’impresa è considerata non operativa cosicché è legittimo l’accertamento fiscale dal quale si evince l’applicazione della normativa antielusiva.

D’altro lato, e ciò è confermato dalla lettura della copiosa giurisprudenza, è chiaro che il legislatore non ha voluto prevedere con quegli indici presunzioni assolute con le quali è possibile dedurre certamente l’esistenza di una società di comodo, con la conseguenza che la società potrà, innanzi all’autorità giudiziaria competente, chiedere l’annullamento dell’accertamento fiscale tenuto conto, però, che dell’onere di provare la veridicità della non operatività e del non conseguimento del reddito minimo.

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