“E’ valida la clausola “di continuazione”, con la quale i soci di una società in accomandita semplice prevedano nell’atto costitutivo, in deroga all’art. 2284 C.C., l’automatica trasmissibilità all’erede del socio accomandatario defunto della predetta qualità di socio, purchè non sia anche trasmesso il munus di amministratore, dal momento che tale funzione – a differenza di quanto previsto dall’art. 2455 C.C. per le società in accomandita per azioni – nelle società in accomandita semplice non è attribuita di diritto a tutti i soci accomandatari (Cass. n. 15395/2013)

Il tema della morte del socio ha sempre una rilevanza importante nei rapporti loro interni nonché sugli assetti della società colpita dall’assenza permanente di uno dei membri della compagine sociale.
Ad avviso dell’odierno scrivente, merita particolare attenzione tale evento soprattutto quando la morte del socio si riflette su società di persone e non di capitali e ciò perché le prime sono particolarmente attente alla persona del socio ed al vincolo sociale che risulta decisamente meno intenso nella seconda tipologia di società le cui quote possono circolare più liberamente.
Nell’ambito della società di persone, la morte del socio è regolata dall’art. 2284 C.C. secondo il quale “Salvo contraria disposizione del contratto sociale, in caso di morte di uno dei soci, gli altri devono liquidare la quota agli eredi a meno che preferiscano sciogliere la società ovvero continuarla con gli eredi stessi e questi vi acconsentano“
Tre i punti fondamentali:
– disposizioni contrattuali contrarie al C.C.;
– liquidazione della quota;
– scelta tra lo scioglimento e la continuazione;
Di norma, a seguito della morte di uno dei soci, ne deriva il diritto degli eredi del de cuius alla liquidazione della quota e vantato nei confronti delle società e non direttamente nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, in quanto si “…fa valere un’obbligazione non degli altri soci ma della società medesima quale soggetto passivamente legittimato, potendosi altresì evocare in giudizio anche i soci superstiti, qualora siano solidalmente ed illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali, sebbene non siano litisconsorti necessari” (Cass. n. 10332/2016).
Pertanto, gli eredi del socio che alla sua morte possedeva una quota pari al 72% del capitale sociale, avranno diritto a chiedere alla società la liquidazione della quota e, in caso di inadempimento, ottenere una condanna che incida anche sul patrimonio degli altri soci perché illimitatamente e solidalmente responsabili.
Particolare è il caso dello scioglimento o della continuazione.
Il primo comporta la messa in liquidazione della società che alla morte del socio decida di non voler proseguire l’attività stessa: ciò può accadere anche quando vi è la morte di un socio che possedeva una quota non maggioritaria ma che di fatto era il perno centrale dell’attività sociale c.d. “leader”.
L’aspetto più interessante è dettato dall’ipotesi della continuazione la quale apre diversi scenari soprattutto in tema di legittimità di tali accordi contrattuali.
Può accadere, che al momento della costituzione i soci inseriscano nell’atto costitutivo le cosidette clausole di consolidazione ovvero di continuazione.
Nella prima ipotesi, in caso di morte del socio, la società continuerà i superstiti i quali dovranno liquidare la quota agli eredi del defunto (Confronta Cass. n. 1622/1967).
Nella seconda ipotesi, la società “dovrà continuare” la propria attività perché che si verifica l’automatica trasmissibilità agli eredi della quota con l’effetto di entrare a far parte della compagine sociale.
E’ ovvio che detta ipotesi può realizzarsi solo allorquando gli eredi dovessero accettare e non richiedere la liquidazione della quota, atteso che la stipula di detta clausola non è voluta da loro e dagli stessi sottoscritta essendo solo il frutto della volontà del de cuius e degli altri soci.
La giurisprudenza riportata in epigrafe tiene conto inoltre di un’ulteriore circostanza invalidante la clausola di continuazione: ovvero l’accordo con il quale nell’ambito della società in accomandita semplice, all’erede del socio accomandatario che per sua natura non svolge attività amministrativa, viene trasmessa anche la qualità di amministratore.
Le censure della Cassazione hanno diversa natura e coinvolgono soprattutto il dettato normativo per il quale una tale qualità non può essere attribuita a tutti i soci accomandatari e, soprattutto, a quelli non individuati specificatamente nella clausola di continuazione voluta dai soci ivi compreso il socio defunto.