I patti parasociali: natura e applicazione

“In tema di società, i patti parasociali debbono essere tenuti distinti dagli atti di estrinsecazione e realizzazione dell’organizzazione societaria, quali quelli di modificazione del contratto sociale, giacché i patti parasociali propriamente attengono non al piano organizzativo dell’ordinamento sociale, bensì a quello dei rapporti interindividuali tra titolari di partecipazioni societarie” (Cass. n. 13877/2017).

patti-parasociali.jpgI patti parasociali sono ormai uno strumento utilizzato da parte dei soci in modo capillare tant’è che la loro stipula avviene non solo nelle società di capitali, ed in particolare s.r.l. ed s.p.a, ma anche alle società di persone i cui soci, ormai, ne fanno largo uso.

Senza dilungarsi eccessivamente in tecnismi, è bene considerare in primo luogo che i patti parasociali sono degli accordi stipulati tra i soci, o alcuni di essi, di una società e costituiscono dei veri e propri contratti che determinano diritti e doveri e, più in particolare, danno luogo a responsabilità contrattuale.

Ciò che deve essere distinto è la posizione che assumono i terzi esterni all’accordo rispetto ai soggetti direttamente vincolati dal patto: difatti, secondo la giurisprudenza sono patti atipici volti a disciplinare i rapporti interni tra i soci e danno luogo a conseguenze meramente risarcitorie (Confr. Cass. n. 5963/2008).

E’ bene precisare che i patti parasociali sono a forma libera sicché non essendovi una norma giuridica che ne impone un certo tipo di forma essi possono essere liberamente stipulati per iscritto ovvero anche verbalmente senza incorrere in vizi formali tali da inficiarne la loro legittimità.

Ancorché nella prassi la stipula di tali accordi avviene per iscritto, la loro validità può essere condizionata da ulteriori fattori rilevanti quali, ad esempio, il contrasto con norme imperative di legge o dello statuto e dal macanto rispetto dei limiti di durata per quegli accordi che ricadono su interessi rilevanti ai quali la legge ricollega un certo grado di tutela.

In ordine alla durata, non essendovi una specifica norma in tal senso, un limite è rinvenibile all’articolo 2341 bis C.C. il quale, facendo strettamente riferimento ai patti “stipulati al fine di stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società hanno per oggetto 

– il diritto di voto;

– limiti al trasferimento delle azioni o partecipazioni;

– l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante su società controllate

dispone una durata non superiore a cinque anni anche qualora le parti hanno previsto un diverso e più ampio termine di durata. 

Ciò significa che i patti parasociali che incidono su interessi diversi da quelli sopra indicati dovrebbero, in linea di massima, non sottostare al limite temporale dell’art. 2341 bis C.C purché non contrari al principio di meritevolezza degli accordi stessi. 

Ad esempio, un patto superiore al limite dei cinque anni potrebbe derivare da quegli accordi con i quali si limita la trasferibilità delle azioni se stipulati in funzione di garanzia e non per stabilizzare gli assetti proprietari potrebbero avere una durata superiore al quinquennio.

Pertanto, affinché tali patti possano essere efficaci è necessario che gli stessi non siano contrari a norme statutarie e norme imperative di legge in quanto soccomberebbero innanzi a tali sovraordinate norme.

Ad esempio un patto di prelazione illegittimo e nullo è quello contrario all’art. 2265 C.c. con il quale il legislatore ha sancito che “è nullo il patto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite” di talché un accordo tra soci di un tale tenero è illegittimo per contrarietà ad una norma imperativa sancita direttamente dal legislatore contrariamente a quell’accordo con il quale si determina una divisione degli utili e delle perdite in difformità rispetto ai conferimenti effettuati dai soci ma non in difformità della disposizione di cui all’art. 2265 C.C.

Tipico patto stipulato tra soci e, nondimeno, spesso inserito nello statuto è il patto di prelazione con il quale si obbliga il socio uscente a offrire agli altri le quote azionarie da questo possedute ed alle medesime condizioni contrattuali.

Come già detto, considerato che gli inadempimenti connessi alla violazione dei patti parasociali producono meramente effetti risarcitori, la giurisprudenza ha tuttavia affermato la natura reale del patto di prelazione allorquando quest’ultimo è stato inserito all’interno dello statuto sociale perchè in tale ipotesi ha efficacia reale: è preordinato a garantire un particolare assetto proprietario, ha efficacia reale, in caso di violazione, è opponibile anche al terzo acquirente” (Cass. n. 12797/2012).

Una volta inserito nello statuto sociale il socio oltre al semplice risarcimento del danno potrà richiedere anche la nullità del trasferimento azionario per violazione di una norma imperativa che è stata inserita direttamente nello statuto e con efficacia reale.

Se, contrariamente, si tratta di mera clausola pattizia la società non potrà rifiutarsi di inscrivere nel libro dei soci il terzo acquirente della partecipazione sociale.

Ciò premesso, sebbene la giurisprudenza ha sancito che “il vincolo che ne discende opera, pertanto, su di un terreno esterno a quello dell’ordinamento sociale…” (Cass. n. 5963/2008) con conseguenze positive per il terzo e risarcitorie per il socio inadempiente, alcuni patti possono anche avere efficacia reale e pertanto conferire una maggiore protezione nei confronti della società che potrà, come nel caso appena menzionato della prelazione, opporre al terzo la clausola statutaria.

Infine, è bene precisare che i patti parasociali “possono essere stipulati non solo tra soci ma anche tra soci e terzi…in quanto devono ritenersi illegittimi solo quando il contenuto dell’accordo si ponga in contrasto con norme imperative o sia idoneo a consentire l’elusione di norme o principi generali dell’ordinamento inderogabili…”  (Cass. n. 15963/2007).

Ergo, il socio di una S.p.a. potrebbe stipulare un patto di prelazione anche con un terzo il quale potrebbe, stante la prova del danno, agire in giudizio per il risarcimento del danno per non aver potuto acquistare la quota azionaria in forza della violazione del patto di prelazione.

 

 

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