Giustizia privata: la condotta penale tra estorsione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni

 

Quante volte è capitato di subire un danno patrimoniale derivato dalla mancata restituzione di una certa somma di denaro prestata a un amico, un parente o un conoscente? E quante altre volte abbiamo proceduto a far valere il nostro diritto alla restituzione in via autonoma senza adire l’autorità giudiziaria?

Sul punto va innanzitutto premesso che al di là di ogni possibile autonoma condotta lecita, è bene che il creditore agisca sin da subito per il tramite del proprio legale per evitare di incorrere in condotte penalmente rilevanti, oltre che in decadenze del diritto di credito per la sua intervenuta prescrizione.

Proprio sui profili penalmente rilevanti la domanda è la seguente: fino a che punto è lecita la condotta di colui che agisce in via autonoma verso il debitore per la restituzione della somma di denaro?

In particolare è possibile soffermarsi sui reati di estorsione ex art. 629 C.p. e di esercizio di arbitrario delle proprie ragioni ex art. 392 C.p.

Ritenuto che secondo l’art. 629 C.p. “Chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione…”, il legislatore con tale fattispecie ha inteso tutelare l’inviolabilità del patrimonio e della libertà personale tant’è che la norma è stata inserita all’intero del capo dedicato ai delitti commessi contro il patrimonio che per giurisprudenza costante si intende leso anche quando la sua composizione è derivata da attività vietate dalla legge (C. Cass. n. 27257/2007).

Gli elementi costitutivi dell’estorsione sono rappresentanti certamente dalla rilevanza della minaccia e dal conseguimento dell’ingiusto profitto, ove per la prima si intendono tutta una serie di comportamenti atti a ridurre la capacità di autodeterminazione del soggetto passivo, e per ingiusto profitto il conseguimento di un vantaggio patrimoniale in senso lato e necessario per la configurabilità della fattispecie in esame.

L’art. 392 e 393 C.p. puniscono “Chiunque, al fine di esercitare un preteso diritto, potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo”.

Diversamente dalla fattispecie di estorsione, quella contemplata agli artt. 392 e ss. tutela tutte le situazioni aventi apparenza di legalità contro le altrui violente manomissioni tese anche qui, mediante la minaccia e la violenza, a limitare la capacità di autodeterminazione del soggetto passivo.

Sebbene tale fattispecie possa apparentemente ritenersi speculare a quella dell’estorsione, in realtà non lo è atteso che l’elemento caratterizzante, espressamente sancito dal legislatore nella lettera della norma, è dato dalla circostanza secondo per cui il diritto vantato dall’agente “sia giudizialmente realizzabile, sia, cioè, munito di specifica azione con la quale rendere operativo il dovere del soggetto obbligato”(C.Cass. n. 1528/1979).

Ciò sta a significare che le due fattispecie si distinguono nell’elemento psicologico del reato perché l’agente pone in essere la minaccia o la violenza con l’intento di realizzare una pretesa legittima che sarebbe tutelabile innanzi all’autorità giudiziaria.

Tanto premesso, si ritiene che la condotta di colui che per ottenere la restituzione del denaro, non si rivolge all’autorità giudiziaria ma da luogo a minacce, anche telefoniche, incorrerà in linea di principio nel minore reato di cui all’art. 392 C.p. e ss. in luogo del reato di estorsione.

Tuttavia, il passaggio tra le due fattispecie è immediato.

Difatti, va chiarito che per giurisprudenza costante della Cassazione la minaccia posta in essere per il tramite di un altro soggetto mandatario del creditore, anche quando avente ad oggetto una legittima pretesa, configura l’estorsione e non il reato di cui all’art. 393 C.p.. A ciò si aggiunga che si configura estorsione anche nell’ipotesi di minaccia posta dal creditore quand’essa sia eccessivamente sproporzionata rispetto al diritto di credito sottostante.

Come affermato in premessa, quindi, è bene rivolgersi sempre al proprio legale di fiducia al fine di agire in giudizio ed ottenere in modo del tutto lecito il recupero del credito, e non invece intraprendere azioni autonome che spesso danno luogo a condotte minacciose, anche telefonicamente, dirette a limitare la capacità di autodeterminazione del debitore e bypassare l’azione giudiziale con il pericolo di incorrere in reati seriamente considerati dal nostro legislatore.

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